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Verso un pensiero degli Arcana. Suggestioni in Carl Schmitt

estratto di un saggio nota

Dall’estesa teorizzazione di Carl Schmitt estrapoleremo tre spunti concettuali che, più di altri, ci sembrano interessanti ai fini di una riflessione sullo spazio e sulle discipline che si occupano di governo del territorio: il concetto di nomos della terra, con riferimento principalmente a quanto contenuto in Schmitt C. (1991), con alcuni spunti tratti anche da Schmitt C. (2002) e da “Appropriazione/divisione/produzione”, saggio contenuto in Schmitt C. (1972); l’interpretazione della storia del mondo (occidentale) come lotta fra terra e mare, per quanto raccontato in modo particolare in Schmitt (2002); la dicotomia amico/nemico come fondamento del concetto di politico, come illustrato nel saggio “Il concetto del politico”, contenuto nella raccolta curata da Miglio G. e Schiera P., Schmitt C. (1972).
1.1 Il nomos della terra

Quello di nomos della terra è il concetto di Schmitt forse più conosciuto, per lo meno da coloro i quali si occupano di discipline legate al territorio, soprattutto per come è esplicitato nell’omonimo, corposo testo Schmitt C. (1991). Al di là però di Der Nomos der Erde, il nomos ritorna più volte nella produzione intellettuale di Schmitt16 per il valore fondativo che esso riveste, qui trovando origine primigenia proprio quel diritto che costituisce uno degli argomenti principali di studio del pensatore di Plettenberg. Nomos, parola che oggi viene comunemente (ed erroneamente) tradotta con norma, legge17, “riducendosi infine a designare, in maniera generica e priva di sostanza, ogni tipo di regolamentazione o disposizione normativistica”18 è in verità, all’origine, secondo Schmitt, un termine che reca in sé il legame inestricabile che sussiste tra Ordnung e Ortung, tra ordinamento e localizzazione (o collocazione)
“La parola greca che designa la prima misurazione, da cui derivano tutti gli altri criteri di misura; la prima occupazione di terra, con relativa divisione e ripartizione dello spazio; la suddivisione e distribuzione originaria, è nomos. Questa parola, intesa nel suo significato originario, legato allo spazio, è quella che meglio si presta a rendere l’idea del processo fondamentale di unificazione di ordinamento e localizzazione”
Schmitt C. (1991), Il nomos della terra, Adelphi, Milano, p. 54
Ciò che si è perso nel corso della storia è proprio la derivazione del nomos dalla terra, dall’occupazione del suolo, tanto che, nel tempo, è sorta una vera e propria contrapposizione tra nomos e physis, “in base alla quale il nomos finisce per consistere in un dover essere che si stacca dall’essere e che si impone su di esso”. Quello che dunque Schmitt punta a ricostituire è questo legame perduto tra Ordnung e Ortung, questo radicamento primigenio del diritto nella terra, che va ben oltre il semplice riconoscimento dell’inizio di ogni ordinamento giuridico in una divisio primaeva (prima divisione) già scorto, ad esempio, da Tommaso d’Aquino e Tommaso

Hobbes, necessitando invece di una vera e propria opera di fondazione che si perde nelle nebbie degli arbori dell’umanità, nel tempo pre-storico del mito. Come vedremo, ciò per Schmitt è necessario proprio perché, solo in virtù di questa matrice arcana del nomos è possibile riconoscere il processo di suddivisione dello spazio – e la conseguente combinazione di ordinamento e localizzazione – come matrice di ogni nuova epoca umana:
“All’inizio della storia dell’insediamento di ogni popolo, di ogni comunità e di ogni impero sta sempre in una qualche forma il processo costitutivo di un’occupazione di terra. Ciò vale anche per ogni inizio di un’epoca storica. L’occupazione di terra precede l’ordinamento che deriva da essa non solo logicamente, ma anche storicamente. […] Essa è il «mettere radici» nel regno di senso della storia. Da questo radical title derivano tutti gli altri rapporti di possesso e di proprietà […]. Da questa origine trae nutrimento – per usare le parole di Eraclito – tutto il diritto seguente e tutto ciò che in seguito sarà ancora emanato mediante atti di posizione e comandi”
[Schmitt C. (1991), Il nomos della terra, Adelphi, Milano, p. 28]
Ecco dunque cos’è, più precisamente, nomos:
“Nomos […] viene da nemein, una parola che significa tanto «dividere» quanto «pascolare» [Weiden]. Il nomos è pertanto la forma immediata nella quale si rende spazialmente visibile l’ordinamento politico e sociale di un popolo, la prima misurazione e divisione del pascolo, vale a dire l’occupazione di terra e l’ordinamento concreto che in essa è contenuto e da essa deriva; nelle parole di Kant: «la legge che ripartisce il mio e il tuo sul territorio» o, in un’altra ben significativa espressione inglese, il radical title. Nomos è la misura che distribuisce il terreno e il suolo della terra collocandolo in un determinato ordinamento, e la forma con ciò data dell’ordinamento politico, sociale e religioso. Misura, ordinamento e forma costituiscono qui una concreta unità spaziale”
[Schmitt C. (1991), Il nomos della terra, Adelphi, Milano, p. 59]
Ed è proprio l’etimologia a testimoniarne ancor più chiaramente la natura del termine:
“Il sostantivo greco nomos deriva dal verbo greco nemein e ha, come questo, tre significati. Nemein ha anzittutto lo stesso significato di nehmen, «prendere, conquistare», quindi nomos significa in primo luogo Nahme, «presa di possesso, conquista». […] In secondo luogo, nemein significa teilen e verteilen, «dividere» e «spartire» ciò di cui si è preso possesso. Il nomos è dunque secondariamente la fondamentale procedura di divisione e di spartizione del terreno, nonché l’ordinamento proprietario che su di essa è basato. Il terzo significato di neimen è weiden, «pascolare», vale a dire l’utilizzazione, la coltivazione e la valorizzazione del terreno ottenuto con la divisione, dunque la produzione e il consumo”
[Schmitt C. (2002), Terra e mare, Adelphi, Milano (ed. or. Land und Meer, 1942), pag. 73 nota 1]
Come rivela l’etimologia, il weiden (pascolare), il teilen (dividere), il nehmen (conquistare) del nomos sono azioni che possono essere tali solo in virtù del proprio fondamento terrestre, del loro intimo legame con il suolo. All’ordinamento può corrispondere una localizzazione soltanto se il supporto di questa è la terra e ivi sono tracciati confini.
E’ qui che si chiude il cerchio che ricollega il freddo normativismo alla propria origine, disvelando come l’occupazione della terra, la divisione fra un vostro e un nostro, fra un mio e un tuo, costituisca l’archetipo del diritto:
”La terra è detta nel linguaggio mitico la madre del diritto. Ciò allude a una triplice radice dei concetti di diritto e di giustizia.
In primo luogo la terra fertile serba dentro di sé, nel proprio grembo fecondo, una misura interna. Infatti la fatica e il lavoro, la semina e la coltivazione che l’uomo dedica alla terra fertile vengono ricompensati con giustizia dalla terra mediante la crescita e il raccolto.
In secondo luogo il terreno dissodato e coltivato dall’uomo mostra delle linee nette nelle quali si rendono evidenti determinate suddivisioni. […] Il terzo luogo, infine, la terra reca sul proprio saldo suolo recinzioni e delimitazioni, pietre di confine, mura, case e altri edifici. Qui divengono palesi gli ordinamenti e le localizzazioni della convivenza umana. Famiglia, stirpe, ceppo e ceto, tipi di proprietà e di vicinato, ma anche forme di potere e di dominio, si fanno pubblicamente visibili.
Così la terra risulta legata al diritto in un triplice modo. Essa lo serba in sé, come ricompensa del lavoro, lo mostra in sé, come confine netto; infine lo reca su di sé, quale contrassegno pubblico dell’ordinamento. Il diritto è terraneo e riferito alla terra”
”Così l’occupazione di terra costituisce per noi, all’esterno (nei confronti di altri popoli) e all’interno (con riguardo all’ordinamento del suolo e della proprietà entro un territorio), l’archetipo di un processo giuridico costitutivo. Esso crea il titolo giuridico più radicale, il radical title nel senso pieno e completo della parola”
[Schmitt C. (1991), Il nomos della terra, Adelphi, Milano (ed. or. Der Nomos der Erde im Völkerrecht des jus Publicum Europaeum, 1950),p. 25-26]
NOTE

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