Interviste

Luis Garcia intervista Roberto Bolano

Non c’è nulla che non debba alla vita.

Luis García – aprile 2001
Crítica.cl, aprile 2001

© traduzione Vitiello Maria Sofia

Avrei voluto poter rimanere con lui, però mi era impossibile. Vorrei potergli dire che lo conosco letteralmente da…..quasi venti anni, in realtà da quando io un giorno entrai nella Libreria Morgana di Oviedo, una di quelle piccole librerie che trasformavano un elenco di titoli in libri di culto, e ho preso una copia di Consigli di un discepolo di Jim Morrison a un fanatico di Joyce , (Premio Ámbitu Literario de Narrativa 1984), un romanzo nero, nero, scritto in collaborazione con Antoni García Porta. Avrei voluto dirgli che non mi risulta strano che si sia aggiudicato il Premio Herralde de Novela por I detective selvaggi , visto che la carriera letteraria di Roberto Bolaño, sebbene sia cominciata agli inizi degli anni ’80, è piena di successi (Premio Ciudad de Alcalá de Henares 1992 con La pista di ghiaccio ). Le comparazioni con l’altro cileno illustre esiliato sono inevitabili, però neanche si possono esprimere. Ora, presenta due nuove opere, Notturno cileno , Editorial Anagrama, romanzo ambientato nel Cile attuale, e Tres , un curiosa raccolta di poesie pubblicata da El Acantilado che non è passato inosservato quasi per nessuno.

Luis García: Premio Herralde de novela con I detective selvaggi , però pochi lo ricordano ai suoi inizi con l’opera scritta insieme con Antoni García Porta Consigli di un discepolo di Jim Morrison a un fanatico di Joyce,Come ricorda l’inizio della sua carriera?

Roberto Bolaño – Con un’allegria un pò sarcastica – A quell’epoca [1984] io lavoravo a Roses, a metà strada tra Figueras e Cadaqués, anche se la mia vita non aveva niente di glamour, soprattutto se intendiamo la parola glamour così come la intendono e la esemplificano i centinaia di esiliati latinoamericani, soprattutto quelli che si dedicano all’arte o allo spettacolo (di fatto, dubito molto che sappiano la differenza tra l’arte e lo spettacolo). Diciamo che allora io lavoravo vendendo bigiotteria, come dire che avevo il mio piccolo negozio, e vivevo come un arabo di “Le mille e una notte”, o come un ebreo del ghetto di Praga, senza frequentare il circolo di Kafka, ma apprendendo quei nomi così pittoreschi che designano i diversi pezzi di bigiotteria. A mezzogiorno ero solito andare a nuotare in una scogliera del porto, dove ancora era possibile vedere i polipi. Quando i polipi mi vedevano si allontanavano e io li seguivo, senza toccarli, per un buon tratto. Di notte, dopo aver contato i guadagni e le perdite del giorno, e averle annotate in un quaderno molto grosso, mi mettevo a scrivere, steso per terra (non avevo un tavolo) e a volte pensavo all’occhio del polipo che avevo visto a mezzogiorno e tutto mi sembrava magnifico. Se non fossi stato vittima di una truffa, probabilmente avrei continuato con lo stesso lavoro

Si sente a suo agio nelle vesti di trionfatore? Voglio dire, ha passato in venti anni (quasi nulla) dall’essere uno scrittore marginale ad aver vinto il premio Herralde de Novela e poi il premio Rómulo Gallegos con la stessa opera. Le ripeto: Come si sente in questo ruolo?

Non credo nel trionfo. Nessuno con un minimo di cervello, può crederci. Credo nel tempo. Questo è qualcosa di tangibile, anche se non so se è reale o no, però il trionfo, no, in nessun modo. Nel campo dei trionfatori si possono incontrare gli esseri più miserabili della terra e fino a li io non sono arrivato e nemmeno penso di avere lo stomaco per arrivarci.

Che fa un cileno come Lei nella costa gerundense? Cosa l’ha convinto a rimanere li?

Mi piace questo posto. Penso che se avessi vissuto in un altro posto, avrei finito per abituarmi lo stesso e avrei vissuto più o meno felice. La mia famiglia paterna, d’altra parte, è una famiglia di emigranti, mio nonno era galiziano e mia nonna catalana. Mio padre che è nato in Cile, si convertì in un messicano. La mia famiglia. o parte di essa, è di estrazione operaia, e la classe operaia ha solo bisogno di una piccola spinta per smettere di credere alla patria, che è un’invenzione borghese e quando dico borghese sto pensando sia alla borghesia francese che alla borghesia sovietica o la borghesia cinese. Inoltre devo accettare che sto quasi sempre contro la maggioranza e la patria è il luogo dove la maggioranza (i patrioti) impone con maggior persuasione i suoi dogma e i suoi castighi e i suoi premi.

Si sente erede del boom, o si identifica di più con la generazione del crack, lei che è passato ed è rimasto un pò nel Messico?

No, no, non mi sento erede del boom in nessun modo. Anche se stessi morendo di fame non accetterei neanche la più piccola elemosina del boom, anche se ci sono scrittori molto bravi come Cortazar e Bioy. Il boom, all’inizio, come di solito accade, è stato molto buono, molto stimolante, però l’eredità del boom fa paura. Per esempio, chi sono gli eredi ufficiali di Garcìa Màrquez? Isabel Allende, Laura Restrepo, Luis Sepúlveda e qualcun altro. A me Garcia Marquez ogni giorno mi sembra più rassomigliante a Santos Chocano o nel migliore dei casi a Lugones. E chi sono gli eredi ufficiali di Fuentes? E di Vargas Llosa? Stendiamo un pietoso velo. Come lettori siamo arrivati a un punto, apparentemente senza vie di uscita. Come scrittori siamo giunti letteralmente ad un precipizio. Non si vede il modo di attraversarlo, però bisogna attraversarlo e questo è il nostro lavoro, trovare il modo di attraversarlo. Evidentemente a questo punto la tradizione dei nostri padri (e di alcuni nonni) non serve a nulla, al contrario, diventa un zavorra. Se non vogliamo precipitare nel precipizio, bisogna inventare, bisogna essere audaci, cose che comunque non garantiscono nulla nemmeno loro.

Di solito scrive storie dure, che risultano di difficile digestione. Cosa devono le sue novelle alla sua vita?

Tutto. Non c’è nulla che non debba alla vita.

E le Sue poesie? Di chi si sente erede?

Un’opera poetica di solito è il risultato di una biblioteca e di una vita, del salti e degli scossoni di questa vita. In questo senso è inutile nominare uno o dieci poeti, sono migliaia, e la loro influenza, d’altra parte, è sempre relativa, è condizionata dall’avventura. Quando dico avventura non solo voglio dire viaggi e rischi bensì anche malattie, amicizie, i fatti più semplici e quotidiani, e l’amicizia naturalmente, che è l’unica cosa che resta dell’epoca in cui gli uomini erano dei e gli dei uomini. Beh, no, c’e’ anche l’amore, però l’amore ha la vista un pò più delicata.

Come vede la recente poesia spagnola, Lei che ha partecipato ad alcune Giornate Poetiche di quelle che tanto piacciono agli amanti del folclore e delle diatribe?

Per me la poesia spagnola è, ancora, Leopoldo Maria Panero e Pere Gimferrer. La verità è che l’opera di Gimferrer mi interessa moltissimo, tutta l’opera di Gimferrer, non solo quella strettamente poetica. Mi piace anche Miguel Casado, un poeta che sembra cercare l’invisibilità, anche se ciò che realmente cerca è la precisione. E’ certo che a volte invisibilità e precisione sono la stessa cosa.

Ho letto in alcune delle sue interviste, che c’e’ stato un tempo in cui si convertì in un professionista dei concorsi letterari. Di fatto, la sua leggenda vuole che li considerasse una forma di sopravvivenza. Cosa c’è di vero in questo?

E’ perfettamente vero. Partecipavo a tutti i tipi di concorsi letterari per guadagnare soldi. E per questo inviavo tutti i miei poemi e i miei unici due romanzi a qualsiasi concorso mi veniva a tiro. Tutti finivano guadagnando qualche premio e qualcuno più di due (con differenti titoli ovviamente). Diciamo che è stata un’attività per vivere. Ho scritto un racconto su questo tema, “Sensini”, che compare in “Chiamate telefoniche”, dove mettevo la parola fine a questa tappa della mia vita, che fondamentalmente è stata malinconica però ha avuto anche momenti di grande aspettativa che poi mi ho più rivissuto, malgrado la vincita di premi di quelli cosiddetti importanti, tanto in Spagna quanto in America Latina.

I suoi libri soffrono di un certo trasfondo politico irrinunciabile (Non poteva essere altrimenti visto che è stato accusato di essere terrorista nel Suo paese, e che si considera esiliato). Però per quale motivo non partecipa attivamente in Spagna in movimenti sociali come lo fa per esempio Luis Sepulveda?

Bene, quando mi hanno arrestato in Cile mi accusarono di terrorismo internazionale, perchè il mio accento era messicano. L’ho sentito come una medaglia. Peccato che questa medaglia non durò molto. Il tenente dei carabinieri che mi ha arrestato, durante un controllo per la strada, era chiaramente uno schizofrenico e probabilmente nessuno gli faceva caso. In alcune pubblicazioni tedesche ho letto, con stupore, che sono stato sei mesi in carcere. In realtà furono solo otto giorni. Rispetto alla partecipazione a movimenti sociali, non ho idea del tipo di movimenti sociali cui partecipa Luis Sepùlveda, però sono sicuro che non mi lascerebbero entrare nel suo club. Nè a questo club nè a nessun altro. Così potrei dire che non partecipo per cortesia, per delicatezza, per evitare loro la brutta figura di una mia più che sicura espulsione. O, detto in altri termini: che si occupino loro di questa politica che io ho già abbastanza lavoro nell’occuparmi di letteratura e della mia politica. Un’ultima puntualizzazione: io mai mi sono sentito esiliato in Spagna, come neanche mi sono sentito esiliato in Messico, nè in America Centrale, nè in nessun altro luogo dove si parla spagnolo.

La storia di unire sessioni di tortura e riunioni letterarie in Notturno cileno, ha una componente sicuramente grottesca. Come è nato questo elemento letterario?

Questa storia è vera e anche di dominio pubblico, anche se fino a poco fa, nessuno ne parlava pubblicamente in Cile. C’era una scrittrice notache celebrava riunioni letterarie nella sua grande casa di Santiago, mentre suo marito, un nord-americano, il tipo che mise la bomba nell’auto di Letelier negli Stati Uniti e uno di quelli che assassinarono a Prats a Buenos Aires, torturavano i loro prigionieri nella cantina della sua stessa casa. finestra Ovviamente, quelli che assistevano alle riunioni letterarie non sapevano cosa succedeva nelle cantine.

Certamente non cessa di essere curiosa la comparazione…

No, se ci pensi bene, non è molto curiosa. La letteratura, in particolare nella misura in cui si tratta di un esercizio cortigiani di qualunque specie e di qualunque credo politico, è sempre stata vicino all’ ignominia, della viltà , ed anche della tortura. Il problema sta nello spirito cortigiano. E anche, naturalmente, nella paura.

Crede che sia possibile stabilire un collegamento tra tutti i suoi libri, sia di prosa che di versi?. Ovvero, percepisce un nesso comune tra tutti, per quanto piccolo possa essere?

Tutti i miei libri sono tra loro interconnessi. Parlare di questo, senza dubbio, è noioso.

con che spirito ha ricevuto il Premio Herralde?. Era cosciente che I detective selvaggi si sarebbe convertito col tempo in un’opera di culto?

Ci sono due o tre autori che ammiro molto e che avevano già vinto il premio Herralde, e in questo senso per me è stato un onore ritrovare il mio nome in una lista dove stavano loro. Mi riferisco a Pitol, a Javier Marias e a Pombo. La verità è che mi sono sentito molto contento quando è stata pubblicata Stella distante nel 1996, che fu il mio primo libro pubblicato da Anagrama.

C’è stato chi l’ha collegato con il genere nero più ortodosso. E’ d’accordo con loro?

In nessun modo. I detective selvaggi, e ora che ci penso, buona parte delle mie opere, se non tutte, passano, non so se a torto o a ragione, da un genere all’altro senza tanti problemi. In Notturno cileno, fin dove ricordo, ce ne sono tre: quello del terrore, la commedia e un ibrido tra romanzo di campagna e romanzo gotico

Che mi può raccontare di Tres, a mio giudizio uno dei libri più interessanti che abbia letto ultimamente? Com’è nato?

Tres, come il suo nome chiaramente indica, sono tre poemi o tre testi lunghi, scritti in tempi diversi, il più vecchio credo nel 1980, ed il più recente nel 1994 o 1995. Quello che posso dire di questo libro è che, se mi attaccassero ad una sedia e mi obbligassero a leggerlo un’altra volta, non so se nasconderei completamente la faccia dalla vergogna. A volte arrivo a pensare, trascinato da un entusiasmo senza dubbio irrazionale, che sia uno dei due migliori libri cha abbai scritto.

Ricordo che non ha avuto una buona accoglienza, come se a lei, uno scrittore che non manca d’efficacia, gli fosse negato addentrarsi nel terreno della poesia. Senza dubbio, non era una poeta in senso stretto, e in tutti i casi, non era stato nemmeno il primo.

I critici sempre sono stati molto generosi con i miei romanzi e i racconti e abuserò della loro pazienza o della pazienza del dio dei critici nel rivendicare o chiedere la stessa generosità per la mia poesia. Non ho nessun problema da questo punto di vista.

Che cosa ci può dire di questo lavoro mastodontico, che ha annunciato in gran fanfara, dove torna al Messico de I detective selvaggi a raccontare gli omicidi di diverse donne di Ciudad Juarez? Quando pensa di terminarlo?

A maggio dell’anno 2002 sarà finito e sarà pubblicato, se va tutto bene, a settembre o ottobre dello stesso anno. Ma non lo posso dire. Tra le altre ragioni perché sarebbe troppo lungo parlare del romanzo e troppo confuso. Il romanzo è già tutto scritto nella mia testa, e in questa fase, tutto sembra funzionare bene, il romanzo sembra molto migliore di quello che realmente sarà, e probabilmente direi un sacco di sciocchezze finendo col pentirmene. La verità è che uno finisce sempre col pentirsi di tutto. Di tutte le cose che poteva fare e non ha fatto e di tutte le cosa che ha fatto e che poteva fare meglio