Interviste

Andrés Gómez intervista Roberto Bolano

Intervista postuma a Roberto Bolaño che conversa con La tercera da casa sua, a Blanes. Parla della sua malattia, della morte, dei suoi nuovi libri e del riconoscimento crescente che aveva la sua opera. Dieci giorni più tardi, mentre aspettava un trapianto di fegato, avrebbe avuto uno schock epatico che avrebbe concluso la sua vita

r.b.: Com’è il panorama letterario cileno ?
domanda Roberto Bolaño, dall’altro lato del telefono. E’ giovedì e lo scrittore cileno parla da Blanes, la località spagnola dove viveva e dove scrisse la maggior parte della sua opera. La domanda è frequente per lui, anche se la sua voce questa volta è stanca. Tuttavia, il suo senso dell’humor rimane intatto e lancia perfino una ironica idea letteraria:

r.b.: “Ho saputo che Mariana Callejas aspetta l’estradizione in Argentina scrivendo. Io credo che con lei e altre si può fare una enciclopedia delle dame nere della letteratura cilena. E si potrebbero inventare, come ne La letteratura nazista in America ; sarebbe un libro poliziesco ed erotico, un sicuro best seller, con scene di sesso e torture: qualcosa come, Tutto quello che volevi sapere sulla mostruosità e non hai osato chiedere”.

Riconosciuto dalla critica come lo scrittore più originale della narrativa attuale in castigliano, Bolaño non potè concretizzare questo gioco. Morì il lunedi, di notte nell’ospedale Vall d’Hebron di Barcelona, a 50 anni. Nato in Cile nel 1953, soffriva da un decennio di insufficienza epatica e aveva bisogno di sottomettersi a un trapianto di fegato, intervento molto difficile a causa della scarsità del suo gruppo sanguigno, B negativo.nota I detective selvaggi – particolare copertina
r.b.: “E’ un tipo di sangue che hanno quelli che hanno scritto I detective selvaggi ”,

disse scherzando e citando il romanzo che ne fece l’unico cileno a vincere il premio internazionale Rómulo Gallegos, riconoscimento che prima di lui ebbero Mario Vargas Llosa e Gabriel García Márquez, tra gli altri
Dieci giorni prima dello schock che concluse la sua vita – e che lo tenne quasi due settimane in agonia – Bolaño conversó con La Tercera.

r.b.: Mi sento abbastanza bene, alcuni giorni meglio di altri, ma in generale bene. Ora si tiene un incontro di narrativa latinoamericana, in Sevilla, e mi hanno invitato e mi piacerebbe andarci.”
a.g.: Parteciperà?
r.b.: Se il mio medico mi autorizza farò il viaggio, il dottore dice che mi avviserà cinque ore prima del trapianto e in quel tempo devo chiedere perdono, fare il mio testamento, e mettere la mia anima in funzione. Sono terzo nella lista per ricevere il trapianto. Ma se salgo al primo posto, in cinque ore non ce la faccio ad arrivare a Barcellona.

a.g.: E’ prevista una scadenza per il trapianto?
r.b.: No, non c’è una scadenza per l’operazione, questo implicherebbe che dovrebbero avere degli schiavi con un fegato di un determinato tipo. No; dipende se qualcuno muore e che il fegato non sia molto danneggiato
Il Nobel agli amici

Bolaño alla fine assistette all’incontro e fu riconosciuto come il totem, il fratello maggiore e il migliore e più influente romanziere della sua generazione per unanimità, come testimoniano gli scrittori indice dei testiRodrigo Fresán, indice dei testiJorge Volpi e l’editore Jorge Herralde.
Quando ricevette il premio Rómulo Gallegos, nel 1999, l’autore di Stella distante fece un esplosivo discorso, illuminante per comprendere il suo lavoro:
in grande misura tutto quello che ho scritto è una lettera d’amore o una lettera d’addio alla mia generazione, noi che siamo nati negli anni Cinquanta e che a un certo punto abbiamo scelto le armi (anche se in questo caso sarebbe più giusto parlare di “militanza”) e abbiamo dato il poco che avevamo, o la cosa più grande che avevano, che era la nostra giovinezza, a una causa che credevamo la più generosa del mondo e che in un certo senso lo era, ma in realtà no.
Inutile dire che abbiamo lottato con le unghie e con i denti, ma avevamo dei capi corrotti, leader codardi, un apparato di propaganda peggiore di un lebbrosario. Abbiamo lottato per partiti che, se avessero vinto, ci avrebbero immediatamente spedito in un campo di lavori forzati. Abbiamo combattuto e abbiamo riversato tutta la nostra generosità in un ideale morto da cinquant’anni, e alcuni di noi lo sapevano, come facevamo a non saperlo se avevamo letto Trotsky o eravamo trotskisti? Eppure l’abbiamo fatto, perché eravamo stupidi e generosi, come lo sono i giovani, dando tutto e non chiedendo niente in cambio. E adesso di quei giovani non resta niente, quelli che non sono morti in Bolivia sono morti in Argentina o in Perù, e quelli che sono sopravvissuti sono andati a morire in Cile o in Messico, e quelli che non sono morti lì sono stati uccisi in seguito in Nicaragua, in Colombia, a El Salvador. Tutta l’America Latina è disseminata delle ossa di quei giovani dimenticati.
[R.B., Discorso di Caracas ]
a.g.: che pensa dell’appoggio incondizionato che alcuni scrittori, come Volodia Teitelboim, mantengono a Fidel Castro?
r.b.: Volodia Teitelboim non ha futuro. Che ci si può aspettare da Volodia? Però le agonie sogliono essere lunghe e forse nell’agonia cambierà discorso. O forse esiste l’inferno e lo mandano 60 giorni con Stalin, a pane e acqua, perchè purghi la sua anima. Vedrai come esce chiedendo perdono in ginocchio

a.g.: Anche Luis Sepúlveda ha detto che non avrebbe firmato nessuna dichiarazione contro Cuba
r.b.: A Luis Sepúlveda bisognerebbe mandarlo nella Corea Del Nord, almeno nove anni, senza che possa uscire dal paese, senza soldi e nemmeno un biglietto per andare a Pechino. Anche se Sepúlveda si arrangerebbe a imparare il coreano e ne uscirebbe scrivendo haikus o favole coreane.

a.g.: In una recente intervista di Platboy Messico , lei ha detto che non vincerebbe mai il Nobel. Perchè ?
r.b.: Ho detto che se il Premio Nobel viene assegnato a un autore della mia generazione, non sarò io, che sarebbe qualcuno dei miei amici, che immagino vinceranno e che sicuramente non mi menzioneranno nel loro discorso. Ma questo succederebbe tra molti anni ancora.

a.g.: Chi della sua generazione pensa potrebbe vincere il premio ?
r.b.: indice dei testiJuan Villoro, può vincerlo perfettamente, o Rodrigo Rey Rosa o gli argentini indice dei testiRodrigo Fresán e indice dei testiAlan Pauls , che sono scrittori molto bravi, oltre che grandi amici.

a.g.: E lei perchè no?
r.b.: No, io sarò già morto da un sacco di tempo, questo è sicuro.

a.g.: Lo pensa veramente?
r.b.: Mi faranno un trapianto di fegato, non mi metteranno una pila atomica. Lo dico sul serio. Io credo che potrei vivere cinque anni come cinque giorni

a.g.: Solo cinque anni ?
r.b.: Preferismo morire in piena lucidità che morire come Volodia Teitelboim facendo tonterie. Io ho 50 anni, non sono più giovane. Quando ero giovane davvero, pensavo che quelli di 50 anni erano dei vecchi. E se c’è qualcosa che non ho, è l’autocompassione. Le cose sono come sono e sta bene così, il che non vuol dire che non potrei avere un poco più di tempo, soprattutto per i miei figli, la mia piccola che ha due anni, e Lautaro (14 anni). Però so che 20 anni è chiedere troppo. In ogni modo, tutto può succedere. L’unica cosa che non farò è lo snob come Donoso, che chiese che gli leggessero paragrafi di Altazor nel suo letto di morte.

L’ultimo attacco parriano

Malgrado la malattia che lo affliggeva – forse precisamente per quello -, Roberto Bolaño lavorò fino alla fine. Era imbarcato in un romanzo titanico, 2666 , un’opera di più di mille pagine che parlerebbe, in parte, degli assassinii delle donne di Ciudad Juarez , Messico, nella frontiera con gli Stati Uniti.

a.g.: Pubblicherà il romanzo quet’anno?
r.b.: Non sto nella condizione di poter fare il lavoro di revisione che esige il romanzo. Sono più di mille pagine che devo correggere, è un lavoro da minatore del XIX secolo. Ora cerco di fare un lavoro più tranquillo. Correggerò il romanzo dopo l’operazione.

a.g.: Continua a pensare che sarà superiore a I detective selvaggi?
r.b.: Se non era superiore, non l’avrei scritto.

a.g.: Ha detto che si basa sugli asassinii di donne in Messico. E’ un thriller?
r.b.: Ha elementi di thriller, di romanzo rosa, di iniziazione e di epica. Ma ciò che lo definisce è la velocità, virtualmente non ci sono punti morti, non c’e’ riposo. Si svolge in molti scenari, in Messico, in Germania, ci sono ritorni verso il passato, verso la Russia prerivoluzionaria, quella rivoluzionaria e quella stalinista. C’è un periplo molto grande e dopo ritorna in messico. Infine. Termina nel 2002, ma ci sono narrazioni del 1890, perfino del 700 avanti Cristo. E’ una grande visione dell’orrore. ma quello che consegnerò quest’anno è un libro di racconti.

a.g.: Sono racconti nuovi?
r.b.: Si, l’ho finito da poco, è un libro abbastanza ben fatto. Sono sette racconti, due di loro molto buoni, e il titolo è Il gaucho insostenibile , che è il titolo di uno di essi, che tratta a sua volta di un gaucho insostenibile. E niente, è un libro che si pubblicherà a settembre.

a.g.: Ha a che fare con Chiamate telefoniche e Puttane assassine?
r.b.: Si, c’è una relazione chiara. Succede che ci sono due racconti che escono dal formato tradizionale del racconto. Uno è Letteratura + malattia = malattia ed è una specie di discorso sulla malattia. E l’altro è un testo sulla letteratura in lingua spagnola, la letteratura ispanoamericana concepita come racconto o saggio phanpletario. [ I miti di Chtulhu]

a.g.: Un racconto polemico?
r.b.: Si, credo che farà arrabbiare, perchè è molto polemico. E’ un testo che risponde all’idea dell’attacco gratuito parriano e al gusto di far perdere la pazienza. Questo racconto lo lessi in pubblico a Barcellona ed è piaciuto molto, la gente rideva brutalmente, è un racconto molto umoristico.

a.g.: Di chi parla?
r.b.: Tratto Hernán Rivera Letelier, per ingenuo, per tonto. A Skármeta lo prendo a schiaffi per non perdere l’occasione, più o meno en passant, senza male intenzione; non è l’obiettivo centrale, però non ho potuto evitarlo. Soprattutto parlo di García Márquez, dI Vargas Llosa, di Bryce Echenique, Isabel Allende, Tomás Eloy Martínez. E dico che la letteratura moribonda è la mia e che i vincitori sono loro, quelli che detteranno le norme del manicomio.

a.g.: Però continuano le traduzioni della sua opera e con critiche molto buone.
r.b.: Sono contento per le buone critiche, soprattutto per i miei editori, che sono brava genete e di sicuro vogliono vendere i miei libri. Però non mi preoccupo più di tanto, ciò che mi preoccupa è lavorare. Siccome non posso chiedere borse di studio, non mi resta che lavorare.

a.g.: Perchè non può chiedere borse di studio?
r.b.: In parte perchè non mi piace, e in parte perchè ho la certezza che non me le darebbero. Non bisogna pensare a borse di studio o premi, quello che lo scrittore deve fare è lavorare.

a.g.: L’anno passato il suo nome era tra i candidati al premio Nazionale
r.b.: Sarà apparso il mio come appaiono le nubi nel cielo primaverile, che spariscono in un attimo. Per me l’unico premio è la disponibilità quotidiana a scrivere. Inoltre, Jorge Edwards mi ha detto che per aver vinto il premio Cervantes, il massimo premio in lingua spagnola, sono cresciuti i nemici, si sono moltiplicati per 100, cosa che mi pare terrorifica. Quando uno vince un premio i nemici escono armati con i coltelli fino ai denti.

a.g.: Non le interessa riceverlo?
r.b.: Non ci ho nemmeno pensato, non penso mai ai premi. Gli unici premi che ho perseguito erano quelli di provincia, in Spagna, perchè se vincevo, mangiavo e se non vincevo, non mangiavo. Li vinsi quasi tutti e quelli sono i premi che ricordo con affetto. Ora non ho bisogno di nessun premio; ho solo bisogno del premio di poter scrivere tutti i giorni. Vivere è qualcosa di molto importante, quando uno è sano è bello vivere, guardare una partita di calcio, una partita epica Real Madrid – Barcellona, o godere l’affetto della tua famiglia, dei tuoi amici o semplicemente vagabondare. Ci sono migliaia di cose infinitamente più importanti di un premio. Se mi dessero il premio nazionale, esigerei che lo dessero a Enrique Lihn.