Varie su Bolano

L’uomo della sabbia di E.T.A Hoffmann

L’UOMO DELLA SABBIA
pag 1

Nataniele a Lotario

Voi tutti sarete certo molto inquieti perché da tanto, tanto tempo non vi scrivo. La mamma sarà in collera con me, e forse Clara crederà che io stia spassandomela allegramente e abbia persino dimenticato l´immagine soave del mio angelo, che è così profondamente radicata nel mio cuore e nella mia mente.

Ma non è così: ogni giorno, ogni ora, penso a voi tutti e nei sogni mi appare sempre la gentile figura della dolce Claretta che mi sorride con quei suoi limpidi occhi, con quella grazia, proprio come quando venivo da voi.

Ma come era possibile scrivervi, quando il mio animo straziato sconvolgeva ogni mio pensiero?

Nella mia vita è entrato qualcosa di terribile!

Presentimenti oscuri di un orribile destino che mi sovrasta si agitano sopra di me come nere ombre di nubi impenetrabili a ogni benefico raggio di sole.

Ma ora devo dirti cosa mi è accaduto. È necessario che te lo dica, lo capisco, ma al solo pensiero mi sembra di esplodere in una risata folle. O mio carissimo Lotario, non so come cominciare per farti sentire, anche vagamente, come ciò che mi è accaduto alcuni giorni or sono abbia potuto veramente distruggere in modo così vigliacco la mia vita! Se tu fossi qui, potresti personalmente rendertene conto; invece ora mi prenderai per uno stravagante visionario.

In poche parole: la cosa terribile che mi è capitata, e la cui mortale impressione invano tento di eliminare, consiste semplicemente nel fatto che alcuni giorni or sono, il 30 ottobre, proprio a mezzogiorno, un venditore di barometri entrò nella mia stanza e mi offrì la sua merce. Io non comperai nulla e minacciai di buttarlo giù dalle scale: dopo di che egli se ne andò.

Tu certo capirai che soltanto precisi fatti, intimamente legati alla mia vita, possono conferire significato a questo avvenimento e che la persona di quello sciagurato mercantucolo può avere su di me influenze deleterie. Così è infatti. Ora voglio raccogliere tutte le mie forze per narrarti con calma e pazienza quel tanto della mia giovinezza che possa presentarti le cose in modo chiaro e vivido. Ma mentre sto per cominciare mi sembra di sentirti ridere e udire Clara che dice: «Ma tutte queste sono fole da bambini». Ridete, vi prego, ridete pure di me, di tutto cuore! Ma, Dio del cielo, i capelli mi si rizzano sul capo ed è come se vi implorassi di deridermi, preso da folle disperazione, come Franz Moor implora Daniele. Ma veniamo ai fatti.

Durante tutta la giornata, all´infuori del pranzo, io e mia sorella vedevamo molto di rado nostro padre. Doveva essere molto occupato nel suo lavoro. Dopo cena, che secondo una vecchia abitudine si consumava già alle sette, noi tutti con la mamma andavamo nel suo studio e ci sedevamo intorno a un tavolo rotondo. Il babbo fumava e beveva un grosso bicchiere di birra. Spesso ci raccontava storie meravigliose e vi si entusiasmava talmente da lasciar spegnere la pipa, e io dovevo riaccendergliela con un pezzo di carta a cui avevo dato fuoco: il che era per me un vero divertimento. Spesso invece ci metteva dinanzi dei libri illustrati, sedeva muto e pensieroso nella sua poltrona e soffiava attorno a sé dense nuvole di fumo, tanto che ci sembrava di nuotare nella nebbia. In quelle sere la mamma era molto triste e appena battevano le nove ci diceva: «Su, ragazzi, a letto, a letto! Viene l´uomo della sabbia, già mi pare di vederlo!». E io ogni volta sentivo veramente un passo lento e pesante che saliva su per le scale: doveva essere l´uomo della sabbia. Una volta quel camminare cupo e rintronante mi fece venire i brividi e alla mamma che ci conduceva via chiesi: «Mamma, chi è mai quel cattivo uomo della sabbia che ci allontana sempre dal babbo? Che aspetto ha?».

«Non esiste nessun uomo della sabbia, figliolo mio» rispose la mamma «quando io vi dico che viene l´uomo della sabbia, voglio solo dire che voi siete assonnati e che non potete tenere più aperti gli occhi, come se vi avessero gettato della sabbia.»

La risposta della mamma non mi soddisfece; anzi, nella mia mente infantile sempre più chiaro si fece il pensiero che la mamma volesse negare l´esistenza dell´uomo della sabbia solo perché noi non dovessimo averne paura, tanto è vero che lo sentivo sempre salire le scale. Desideroso di voler vedere più da vicino questo uomo della sabbia e di sapere quali erano i suoi rapporti con i bambini, chiesi infine alla vecchia cui era affidata la mia sorellina minore chi mai esso fosse.

«Oh, Niele» rispose costei «non lo sai ancora? È un uomo cattivo, che viene dai bambini che non vogliono andare a letto e butta loro negli occhi manciate di sabbia sino a farglieli schizzare sanguinanti fuori dal capo; poi li prende, li mette in un sacco e li porta sulla luna in pasto ai suoi figlioletti; questi stanno lassù in un nido e hanno il becco ricurvo come le civette e con questo beccano gli occhi dei bambini cattivi.»

L´orribile immagine di quell´uomo crudele si impresse così nella mia mente, e quando alla sera io lo sentivo salire le scale, tremavo dall´angoscia e dal terrore. Mia madre riusciva solo a cavarmi dalla bocca questo grido balbettato tra le lacrime: «L´uomo della sabbia! L´uomo della sabbia!». Correvo quindi nella camera da letto e tutta la notte ero torturato dalla paurosa visione dell´uomo della sabbia.

Quando fui abbastanza grande per comprendere che tutto ciò che mi era stato raccontato dalla governante dell´uomo della sabbia e della sua nidiata di figlioli sulla luna non aveva nessun fondamento, l´uomo della sabbia per me continuava a essere un fantasma pauroso ed ero sempre preso da vero terrore quando lo sentivo non solo salire le scale ma anche aprire la porta dello studio di mio padre ed entrarvi. Qualche volta non si faceva vivo per molto tempo, ma poi veniva più volte di seguito. La cosa durò parecchi anni, e io non riuscivo ad abituarmi all´idea di quel fantasma la cui immagine odiosa non riuscì a impallidire nella mia mente. I suoi rapporti con mio padre finirono con l´ossessionare la mia fantasia. Avrei voluto interrogare mio padre, ma un terrore invincibile me lo impediva. Io stesso, io solo, dovevo indagare nel mistero, dovevo vedere il favoloso uomo della sabbia: questo fu il mio più vivo desiderio che col passare degli anni sempre più si radicò in me. L´uomo della sabbia mi aveva messo sulla strada dell´avventura, del meraviglioso, che così facilmente si annida nell´animo dei fanciulli. Niente mi attirava di più che ascoltare o leggere le paurose storie di folletti, di streghe, di gnomi, ma in cima a tutti stava sempre l´uomo della sabbia, che io andavo ovunque, con il gesso o con il carbone, disegnando nei più strani e orribili atteggiamenti su tavoli, su armadi e pareti.

Quando ebbi dieci anni, mia madre mi fece passare dalla camera dei fanciulli in una piccola stanza che si apriva sul corridoio vicino a quella di mio padre. Come sempre quando battevano le nove e si sentiva lo sconosciuto in casa nostra, noi dovevamo in tutta fretta allontanarci. Dalla mia cameretta lo sentivo entrare dal babbo e subito dopo mi sembrava che per la casa si diffondesse un vapore dall´odore strano. Con la curiosità, sempre più cresceva in me il coraggio di fare in qualche modo la conoscenza dell´uomo della sabbia. Spesso, appena la mamma era già passata oltre, dalla mia cameretta sgusciavo nel corridoio, ma non riuscivo a vedere nulla perché l´uomo della sabbia, quando raggiungevo il punto da dove avrei potuto vedere, era già entrato nella camera del babbo. Alla fine, spinto da un impulso irresistibile, decisi di nascondermi proprio nella camera del babbo per aspettarvi l´uomo della sabbia.

Una sera, dal silenzio del babbo e dalla tristezza della mamma, compresi che l´uomo della sabbia sarebbe venuto. Con la scusa che ero molto stanco, lasciai prima delle nove la stanza e mi nascosi in un nascondiglio vicino alla porta.

Il portone di casa cigolò: dal vestibolo, su, verso la scala, rintronarono i passi lenti e pesanti. La mamma mi passò dinanzi con la sorellina. Piano piano aprii la porta della stanza del babbo. Egli come al solito se ne stava seduto muto e rigido, volgendo le spalle alla porta e non si accorse di me. Fui subito dentro e mi cacciai dietro la tendina, che era tesa su un armadio aperto, vicino alla porta, dove il babbo teneva i suoi abiti. Sempre più vicino… sempre più vicino risuonavano i passi… ecco!… di fuori un tossire, uno scalpicciare, un borbottio strano. Nell´attesa angosciosa il cuore mi tremava. Ecco, proprio vicino alla porta un passo serrato… un colpo violento sulla maniglia… la porta si spalanca con rumore! Facendomi animo, con cautela sporgo la testa. L´uomo della sabbia sta nel mezzo della stanza, davanti a mio padre: la luce chiara delle candele gli illumina il viso! L´uomo della sabbia, il tanto temuto uomo della sabbia, è il vecchio avvocato Coppelius, che qualche volta a mezzogiorno viene a mangiare da noi.

Ma nessuna figura più mostruosa avrebbe potuto atterrirmi come quella di Coppelius. Immaginati un uomo alto, dalle spalle larghe, con una grossa testa informe, il viso terreo, le sopracciglia grigie e cespugliose, sotto le quali lampeggiano due occhi da gatto verdastri e pungenti e un naso grande e grosso cadente sopra il labbro superiore. La sua bocca si torce spesso in un sorriso malvagio; si vedono allora sulle guance due macchie scarlatte e uno strano sibilo gli passa attraverso i denti stretti. Coppelius compariva sempre con una giacca color cenere di taglio antiquato, il panciotto e i calzoni dello stesso colore, ma portava calze nere e le scarpe con piccole fibbie ornate di pietre. La piccola parrucca gli copriva a stento il cocuzzolo, i cernecchi gli stavano appiccicati sopra le grandi orecchie rosse e una larga reticella per i capelli saltava fuori dalla nuca, lasciando vedere il fermaglio d´argento che teneva fissata la cravatta pieghettata. Tutto il suo aspetto era stomachevole e odioso; ma soprattutto a noi bambini facevano senso le sue mani pelose e nodose tanto che rifiutavamo tutto ciò che toccava. Egli se ne era accorto e si divertiva a toccare con un pretesto qualsiasi ora un pezzo di torta, ora un frutto dolce che la nostra buona mamma ci aveva messo sul piatto, cosicché, piangendo per lo schifo e per il ribrezzo, rinunciavamo a quelle ghiottonerie che dovevano darci gioia. La stessa cosa faceva nei giorni di festa, quando il babbo ci mesceva un bicchierino di vino dolce: allora egli subito vi posava la mano oppure si portava addirittura il bicchiere alle labbra e rideva diabolicamente quando non riuscivamo a manifestare la nostra rabbia se non attraverso sommessi singhiozzi. Era abituato a chiamarci bestiole. Lui presente, non dovevamo dire neppure una parola e non potevamo fare altro che maledire quel cattivo, odioso uomo che ci rovinava apposta anche il piacere più innocente. Anche la mamma sembrava che odiasse quel ripugnante Coppelius appena infatti egli appariva, tutta la sua serenità, la sua natura gaia e semplice si mutava in una cupa tristezza. Mio padre invece di fronte a lui si comportava come davanti a un essere superiore di cui si devono sopportare le scortesie e che occorre mantenere a ogni costo di buonumore. Bastava che quello vi accennasse perché subito si preparassero cibi prelibati e si servissero vini scelti.

Quando dunque vidi Coppelius, provai orrore e raccapriccio, perché solo lui poteva essere l´uomo della sabbia. Ma l´uomo della sabbia per me non era certo lo spauracchio delle fole della governante, quello che veniva a prendersi in pasto gli occhi dei bambini per le civette sulla luna, no, certo: era un mostro orribile che, dove arrivava, portava con sé dolori e miserie, momentanei o perpetui.

Ero come affascinato. Con il pericolo di essere scoperto e quindi severamente punito, rimasi dove ero, e origliavo sporgendo la testa dalla tendina. Mio padre accolse Coppelius con molto rispetto. «Su, al lavoro» fece questi, con voce stridula, deponendo la giubba. Il babbo cupo e silenzioso si tolse la veste da camera, ed entrambi indossarono lunghe tuniche nere. Dove le avessero prese non riuscii a vedere. Mio padre aprì le ante di un armadio a muro; ma vidi che quello che per tanto tempo avevo creduto un armadio era una caverna nera in cui stava un piccolo focolare. Coppelius si avvicinò e vi accese una fiamma azzurra e scoppiettante. Attorno vi stavano vari e strani oggetti. Dio mio! come era mutato mio padre mentre si chinava sul fuoco! Si sarebbe detto che un dolore tremendo e lancinante avesse trasfigurato i suoi lineamenti dolci e nobili in quelli di un demonio brutto e riluttante. Ora assomigliava a Coppelius. Questi con tenaglie arroventate toglieva dal denso fumo materiali sfavillanti che poi con grande energia martellava. Mi sembrava di vedere tutto attorno visi umani, ma senza occhi, e al posto di questi impressionanti cavità nere. «Qua gli occhi, qua gli occhi» gridava Coppelius con voce cupa e tonante.

Preso da una paura selvaggia, mandai un grido e saltai fuori dal mio nascondiglio. Coppelius mi afferrò: «Bestiola, bestiola!» belò digrignando i denti… Mi sollevò, mi buttò nel fuoco e la fiamma cominciò a bruciarmi i capelli. «Ora abbiamo gli occhi, gli occhi… un bel paio di occhi di fanciullo.» Così sussurrava Coppelius e con le mani prese dalla fiamma alcuni granelli incandescenti che voleva buttarmi negli occhi. Mio padre implorando alzò le mani e gridò: «Maestro, maestro, lascia gli occhi al mio piccolo Nataniele, lasciaglieli».

Coppelius rise in modo stridulo e disse: «Li tenga pure gli occhi il ragazzo per frignare nel mondo; ma ora osserviamo un po´ il meccanismo delle mani e dei piedi». E mi afferrò con violenza, le giunture scricchiolarono, mi svitò mani e piedi che andava poi rimettendo a posto: «Non tutti vanno bene, era meglio prima! Il vecchio aveva capito bene!» così sibilava e bisbigliava Coppelius, ma intorno a me vi erano le tenebre: una specie di spasmo mi attraversò i nervi e le ossa e non sentii più nulla.

Un dolce alito caldo mi accarezzò il viso. Mi ripresi come da un sonno mortale, la mamma stava china su di me. «È ancora qui l´uomo della sabbia?» balbettai.

«No, figliolo caro: ormai se ne è andato, non può più farti del male» così diceva la mamma accarezzando e baciando il suo caro figliolo ritrovato.

Ma perché annoiarti oltre, mio carissimo Lotario? Perché raccontarti così estesamente ogni particolare, quando mi rimane ancora tanto da dire? Basta. Fui scoperto a origliare e maltrattato da Coppelius. La paura e l´angoscia mi fecero venire un febbrone per cui me ne stetti a letto qualche settimana. «L´uomo della sabbia è ancora qui?» Queste furono le mie prime parole sensate, e furono il segno della mia guarigione, della mia salvezza.

Ma devo ancora raccontarti il momento più spaventoso della mia giovinezza: poi tu stesso comprenderai che se per me oggi tutte le cose non hanno più colore, ciò non è dovuto alla debolezza dei miei occhi, bensì a un oscuro destino che ha steso sulla mia vita un velo opaco di nubi che forse solo morendo squarcerò.

Coppelius non si fece più vedere: aveva lasciato la città.

Era passato circa un anno e noi una sera, secondo l´immutabile vecchia consuetudine, sedevamo attorno al tavolo rotondo. Mio padre era sereno e raccontava molti episodi divertenti dei viaggi che aveva fatto in gioventù. Improvvisamente, al battere delle nove, udimmo il portone di casa cigolare sui cardini e dal vestibolo, su verso le scale, risuonarono lenti passi pesanti.

«È Coppelius» disse mia madre impallidendo.

«Già, è Coppelius» ribatté mio padre con voce stanca e tremante. Le lacrime scesero dagli occhi di mia madre: «Babbo, babbo» gridò essa «ma sarà sempre così?».

«Per l´ultima volta» egli rispose «per l´ultima volta viene da noi. Te lo prometto. Va´, va´ con i ragazzi. Andate, andate a letto. Buona notte.»

Avevo l´impressione di essere premuto tra pietre fredde, il respiro mi mancava. Siccome non riuscivo a muovermi, la mamma mi prese per un braccio: «Vieni, vieni, Nataniele, su, vieni». Mi lasciai condurre via ed entrai nella mia camera.

«Sta´ calmo, sta´ calmo, mettiti a letto, dormi, dormi…» diceva mia madre; ma io, tormentato da un´indescrivibile angoscia, non potei chiudere occhio. L´odiato e nauseante Coppelius stava davanti a me con occhi sfavillanti e rideva beffardamente: invano cercavo di allontanarne l´immagine.

Poteva essere mezzanotte, quando si udì uno scoppio tremendo, come se avessero sparato un colpo di cannone. Tutta quanta la casa rintronò: dinanzi alla mia porta era un gran tramestio. Il portone di casa si chiuse con fracasso. «È Coppelius» gridai atterrito e balzai dal letto. In quella si udì un pianto disperato, mi precipitai nella stanza del babbo… La porta era aperta, un vapore soffocante mi sommerse, la fantesca gridava: «Oh, il padrone, il padrone!». Davanti al focolaio fumante, per terra, giaceva mio padre morto, con il viso nero, bruciato, orribilmente stravolto e attorno a lui gemevano e piangevano le mie sorelle, e la mamma, accanto, era svenuta.

«Coppelius, Coppelius, Satana infame, hai ucciso mio padre!» così gridai e svenni.

Due giorni dopo, quando mio padre fu messo nella bara, i lineamenti del suo viso erano ritornati ancora dolci e miti, come da vivo. Mi consolai al pensiero che il legame con il diabolico Coppelius non aveva potuto precipitarlo nella dannazione eterna.

L´esplosione aveva svegliato i vicini, la notizia dell´avvenimento giunse sino alle autorità che vollero fare un processo a Coppelius. Ma questi era sparito senza lasciare tracce.

Se ti dicessi, caro amico, che quel venditore di barometri era proprio il maledetto Coppelius, non ti meraviglieresti certo che io consideri quell´apparizione come presagio di gravi sciagure. È vero che era vestito diversamente, ma la figura e i lineamenti del viso di Coppelius sono così profondamente impressi in me che non posso sbagliarmi. Coppelius non ha neppure cambiato nome. Qui si fa passare per un meccanico piemontese di nome Giuseppe Coppola.

Sono deciso a liquidare i conti con lui e a vendicare la morte di mio padre, qualunque cosa accada.

Non dire nulla alla mamma dell´apparizione di quel mostro odioso.

Saluta la mia dolce Clara: le scriverò quando il mio animo sarà più tranquillo. Sta´ bene.

Clara a Nataniele

È vero che non mi hai scritto da lungo tempo, ma sono sicura che mi porti nel cuore e nei pensieri. E certo pensavi intensamente a me se nell´ultima lettera che volevi inviare a mio fratello Lotario mettesti il mio indirizzo invece del suo. L´aprii con gioia e mi accorsi dell´errore soltanto alle parole: «Mio carissimo Lotario». Non avrei dovuto continuare a leggere, bensì consegnare la lettera a mio fratello. Benché talvolta nei nostri piccoli litigi fanciulleschi tu mi abbia rimproverato di avere un´anima così tranquilla e così giudiziosa per cui, come quella tal donna, di fronte al crollo della casa, prima di fuggire lascerei rapidamente una piega mal fatta alla tendina della finestra, posso assicurarti che l´inizio della tua lettera mi ha profondamente scossa. Rimasi senza fiato: era come se avessi avuto dei bagliori dinanzi agli occhi.

Oh, mio caro Nataniele, come ha potuto una cosa tanto terribile entrare nella tua vita? Separarmi da te, non più rivederti, questo pensiero mi attraversò il petto come una pugnalata arroventata. Lessi e rilessi. La tua descrizione del nauseante Coppelius è terribile. Solo ora ho saputo di quale violenta e terribile morte sia morto il tuo vecchio, buon padre. Mio fratello Lotario, a cui consegnai ciò che era suo, cercò di consolarmi, ma non vi riuscì bene. Il maledetto mercante di barometri, Giuseppe Coppola, mi seguiva a ogni passo e quasi mi vergogno di riconoscere che egli sia riuscito persino a turbare con strani e fantastici sogni il mio sonno di solito così sereno e tranquillo. Ben presto però, il giorno seguente, tutto aveva preso un aspetto differente. Non volermene, mio adorato, se Lotario dovesse dirti che, nonostante il tuo strano presentimento che cioè Coppelius debba farti del male, io come sempre sono calma e serena.

Anzitutto vorrei persuaderti che, secondo me, tutto ciò che vi è di terribile e di pauroso in quello che dici ha origine nel tuo intimo: il mondo esterno vi ha ben poca parte Nauseante certo deve essere stato il vecchio Coppelius, ma il fatto che egli odiasse i fanciulli originò in voi un vero ribrezzo nei suoi riguardi.

Ora, nel tuo animo infantile il pauroso uomo della sabbia, tratto dalle fole della balia, si collegò con il vecchio Coppelius, il quale, anche se tu non credevi all´uomo della sabbia, per te rimase il mostro fantastico, pericoloso soprattutto per i fanciulli. Quella attività notturna con tuo padre dipendeva semplicemente dal fatto che ambedue in segreto facevano esperimenti di alchimia, e tua madre non poteva certo esserne contenta perché si sprecavano danari e inoltre, come sempre avviene con gente che fa tali esperimenti, l´animo di tuo padre, pieno di desiderio ingannevole di penetrare dentro la saggezza eterna, si sarà allontanato dalla famiglia. Tuo padre avrà certo trovato la morte a causa di una imprudenza e Coppelius non ne ha affatto colpa. Proprio ieri poi ho chiesto al bravo farmacista che abita vicino a noi se in esperimenti chimici è possibile un´esplosione così improvvisa e mortale. Egli mi rispose: «Senza dubbio» e mi descrisse alla sua maniera diffusa e pignola come ciò possa avvenire e fece tanti nomi strani che non mi fu possibile ricordare. Ora tu sarai indignato con la tua Clara e dirai: «In quell´anima fredda non penetra nessun raggio di quel mistero che spesso stringe gli uomini con braccia invisibili; essa riesce solo a vedere la variopinta superficie del mondo e si accontenta come una bambinetta ingenua di vedere il frutto dorato, nel cui intimo è nascosto un veleno mortale».

Ma, mio adorato Nataniele, non credi tu allora che anche nelle anime serene, limpide e ingenue possa albergare il presentimento di una oscura potenza che ostilmente cerca di rovinarci nel nostro più profondo io? Perdonami se da quella ragazza semplice che sono faccio il tentativo di spiegare in qualche modo cosa io pensi di una tale intima lotta. Alla fine può darsi che io non trovi le parole adatte e che tu rida di me non già perché dico delle cose sciocche, ma perché mi mostro così poco abile nell´esporle.

Se vi è un potere oscuro e ostile che a tradimento trapianta un filo nel nostro intimo con il quale ci lega a sé e ci trascina per una via pericolosa e fatale che altrimenti non avremmo mai battuto, se esiste una simile possibilità, essa deve prendere dentro di noi la nostra stessa forma, anzi deve diventare il nostro stesso io. Soltanto così noi crediamo a esso e gli cediamo quello spazio di cui esso ha bisogno per portare a termine la sua opera segreta. Se abbiamo una mente abbastanza salda, rafforzata da una vita serena, per potere costantemente riconoscere gli influssi ostili come tali e per seguire con passo tranquillo la via a cui inclinazione e vocazione ci hanno indirizzato, allora quel sinistro potere naufraga nel vano tentativo di prendere quella forma che dovrebbe essere la nostra immagine rispecchiata. «È anche certo» aggiunge Lotario «che l´oscuro potere dell´anima, quando a esso ci abbandoniamo, spesso fa entrare in noi forme estranee che il mondo ci mette tra i piedi, cosicché noi stessi finiamo con l´eccitare il nostro spirito, che, come a noi sembra per una meravigliosa illusione, parla da quella forma. È il fantasma di quel nostro vero io la cui profonda affinità e profonda influenza sul nostro spirito ci precipitano nell´inferno o ci rapiscono in cielo.»

Vedi dunque, mio carissimo Nataniele, come noi due, io e mio fratello Lotario, abbiamo discorso a lungo sopra questo argomento delle forze oscure: argomento che, dopo averne descritto non senza fatica i principali concetti, mi sembra abbastanza profondo. Le ultime parole di Lotario non le capisco completamente; intuisco solo ciò che vuol dire, ma mi sembra che sia molto vero.

Ti prego, togliti dalla mente l´odioso avvocato Coppelius e il venditore Giuseppe Coppola. Sii persuaso che queste due figure estranee non possono nulla su di te; soltanto la fede nella loro potenza ostile può renderli veramente ostili. Se in ogni riga della tua lettera non esprimessi il profondo turbamento del tuo spirito, se il tuo stato d´animo non mi addolorasse sin nel profondo, sarei veramente capace di scherzare sull´avvocato della sabbia e su Coppelius, l´uomo del barometri. Sii sereno! Sii sereno! Mi sono proposta di apparirti come il tuo angelo custode e di cacciar via con una grande risata l´odioso Coppelius, nel caso volesse azzardarsi a turbare i tuoi sogni. Non ho assolutamente paura di lui né delle sue brutte minacce. Egli certo non deve rovinare le mie ghiottonerie come avvocato e gli occhi come uomo della sabbia.

Per sempre, mio adorato Nataniele.

Nataniele a Lotario

Mi dispiace molto che Clara ultimamente abbia per errore aperto e letto la lettera che avevo diretto a te, anche se ciò è dovuto alla mia distrazione. Mi ha scritto una lettera piena di profonda filosofia dove dimostra che Coppelius e Coppola esistono solo nel mio intimo e che sono fantasmi del mio Io, che subito svanirebbero appena li riconoscessi per tali. Non si crederebbe infatti che lo spirito di quella fanciulla, che dai suoi chiari e ridenti occhi spesso emana luce come un dolce sogno soave, sappia fare delle distinzioni così intelligenti, degne di un professore. Essa fa appello a te. Voi avete parlato di me. Tu certo le tieni dei corsi di logica, perché essa riesca a vagliare perfettamente e accuratamente ogni cosa. Ma lascia correre! È certo che il venditore di barometri Giuseppe Coppola non è il vecchio avvocato Coppelius. Ora seguo le lezioni del professore di fisica da poco arrivato, che ha lo stesso nome del famoso naturalista Spallanzani ed è di origine italiana. Questi conosce Coppola già da parecchi anni e inoltre si capisce dalla pronuncia di quest´ultimo che è veramente piemontese. Coppelius era un tedesco e, da quel che mi sembra, non era una persona onesta. Ora sono assolutamente tranquillo. Consideratemi pure, tu e Clara, un cupo sognatore, ma non posso liberarmi dall´impressione che il viso di Coppelius fa su di me. Sono felice che sia lontano dalla città, come dice Spallanzani. Questo professore è un bel tipo. È un piccolo uomo rotondetto, il viso dai forti zigomi, naso sottile, labbra grosse, occhi piccoli e pungenti. Meglio di qualsiasi altra descrizione ti servirà il ritratto di Cagliostro che Chodowiecki ha messo in non so quale calendario berlinese. Così è veramente Spallanzani.

Ultimamente, salendo le scale, noto che la tendina, di solito tirata su una porta a vetri, lascia libera una fessura. Non so neppure io come arrivai a gettarvi dentro un´occhiata curiosa. Nella stanza sedeva dinanzi a un tavolino, su cui appoggiava le braccia, le mani giunte, una donna alta, snella, molto ben fatta e magnificamente vestita. Essa sedeva di fronte alla porta, cosicché potevo vedere perfettamente il suo viso angelico. Sembrava che non si fosse accorta di me e i suoi occhi avevano qualcosa di rigido, potrei anzi dire che non vedesse: era come se dormisse con gli occhi aperti. La cosa mi fece paura e scivolai subito nell´Auditorium, lì vicino. Seppi poi che quella strana creatura era la figlia di Spallanzani, Olimpia, che egli certo in modo malvagio tiene segregata perché nessuno possa avvicinarla. Certo c´è sotto qualcosa di misterioso o forse è deficiente o pressappoco.

Perché ti scrivo questo? Potrei riferirtelo meglio direttamente. Sappi che tra quindici giorni sarò da voi. Devo rivedere la mia Clara, il mio angelo così dolce. Svanirà allora il mio malumore che, devo riconoscere, stava per dominarmi dopo quella mia lettera piena di fatalismo. Perciò neppure oggi le scrivo. Tanti saluti.

Non si potrebbe inventare nulla di più stravagante di quello che capitò al mio povero amico, il giovane studente Nataniele, e che, benevolo lettore, mi accingo a narrarti. Non ti è mai capitato, carissimo lettore, che qualcosa si impossessasse completamente del tuo animo, della tua mente e dei tuoi pensieri, così che tutto il resto ne venisse scacciato? C´era in te come un fermento, un fervore che ti avvampava e il sangue cocente ti scorreva nelle vene e le tue guance ardevano. Il tuo sguardo era così strano come se volesse afferrare in uno spazio vuoto figure invisibili ad altro occhio e le tue parole si dissolvevano in cupi sospiri. E gli amici ti chiedevano: «Che cosa le succede, caro amico? Che cosa ha mai». E tu allora volevi esprimere le immagini interiori con i colori più accesi e con le ombre e le luci e ti preoccupavi di trovare le parole che ti permettessero almeno di incominciare. E credevi di poter riportare perfettamente subito, sin dalle prime parole, tutto ciò che di meraviglioso, di stupendo e di terribile e di allegro e raccapricciante ti fosse accaduto, in modo da colpire tutti come con una scarica elettrica. Ma ogni tua parola, ogni tuo modo di esprimerti, ti appariva incolore e freddo. Tu cerchi, cerchi e balbetti e infine le domande degli amici ti colpiscono come soffi di vento gelato, dentro, nel tuo fervore infocato, sin quasi a spegnerlo. Ma se tu riesci da ardito pittore a tracciare con poche linee temerarie i contorni della tua immagine interiore, allora con poca fatica e con ardore sempre crescente vi stendi i colori, e il vivo tumulto delle molteplici figure trascina gli amici, i quali, come te, si vedono vivi dentro l´immagine espressa del tuo spirito.

Veramente devo riconoscere, benevolo lettore, che nessuno mi ha chiesto la storia del giovane Nataniele ma tu sai che io appartengo a quella razza di scrittori i quali, quando portano dentro di sé qualcosa come quella che ti ho descritto, hanno l´impressione che chiunque gli passi vicino, anzi tutto quanto il mondo, debba chiedergli: «Che cosa è mai ciò? Racconta, carissimo».

Così fu più forte di me parlarti della vita sventurata di Nataniele. Il meraviglioso, lo strano si impossessò di tutto il mio animo, ma appunto perché io, o lettore, volevo renderti capace di sopportare il meraviglioso, che non è poca cosa, mi sono preoccupato di cominciare la storia di Nataniele in modo significativo, originale, attraente. «C´era una volta…» è in genere questo il miglior inizio, ma freddo. «Nella piccola città di provincia di S. viveva…», un po´ meglio certo, si entra almeno nell´atmosfera. O subitomedias in res : «Vada al diavolo! – esclamò con gli occhi ardenti di collera e di terrore lo studente Nataniele quando il mercante di barometri Giuseppe Coppola…». Veramente questo lo avevo già scritto, quando nello sguardo selvaggio dello studente Nataniele mi parve di vedere qualcosa di buffo, ma la storia non è certo allegra. Non mi venne in mente nessuna frase che anche vagamente potesse rispecchiare lo splendore dei colori della mia intima immagine poetica. Decisi perciò di non incominciare. Prendi perciò, benevolo lettore, le tre lettere che l´amico Lotario gentilmente mi fece avere come contorni del quadro che attraverso la mia narrazione farò di tutto per colorire. Forse mi riuscirà di presentarti, come può fare un buon pittore, qualche figura che tu troverai somigliante anche se non conosci l´originale, anzi forse ti sembrerà di averla già vista con i tuoi occhi. Forse, caro lettore, allora penserai che non vi è nulla di più meraviglioso e di più folle della vita reale e che il poeta solo questo può fare: afferrarla come un pallido riflesso di uno specchio opaco.

Affinché si sappia ciò che è necessario sapere sin da principio, bisogna aggiungere al contenuto di quelle lettere che, poco dopo la morte del padre di Nataniele, Clara e Lotario, figli di un lontano parente, che pure era morto lasciandoli orfani, erano stati accolti in casa dalla mamma di Nataniele. Nataniele e Clara furono legati da una forte, reciproca simpatia e nessuno al mondo aveva certo da dire qualcosa in contrario. Si fidanzarono quando Nataniele lasciò la città per continuare i suoi studi a G. Là appunto lo troviamo nella sua ultima lettera, dove frequenta le lezioni del famoso professore di fisica, Spallanzani.

Ora potrei senza più alcuna preoccupazione continuare il mio racconto; ma proprio in questo momento l´immagine di Clara mi sta così viva dinanzi agli occhi da non poterli distogliere da lei, come mi capitava sempre quando mi guardava con quel suo dolce sorriso. Non si poteva dire che Clara fosse bella; questo lo riconoscevano tutti coloro che per professione si intendono di bellezza. Ma gli architetti lodavano le belle proporzioni della sua statura, i pittori trovavano fin troppo caste le forme delle sue spalle, del collo e del busto, ma quasi tutti erano innamorati dei magnifici capelli alla Maddalena e fantasticavano sul colorito degno di Batoni. Uno di loro, un individuo veramente tutto fantasia, paragonò in modo veramente originale gli occhi di Clara a un lago di Ruisdael, nel quale si specchia l´azzurro limpido di un cielo senza nubi, la ricchezza dei fiori e del boschi, la vita serena della ricca campagna tutta colori. Poeti e pittori andavano oltre e dicevano: «Ma che lago, ma che specchi! Possiamo forse guardare questa fanciulla senza che dal suo sguardo si sprigionino canti celesti che penetrano nel profondo del nostro animo cosicché tutto in noi si risveglia e diventa vivo? E se non riusciamo a cantare nulla di veramente bello, è segno che dentro di noi non c´è veramente nulla e questo lo possiamo leggere chiaramente nell´ironico sorriso che fluttua sulle labbra di Clara quando tentiamo di cinguettarle qualcosa che vorrebbe essere un canto, ma che in verità è solo un confuso saltellare di suoni isolati».

Ed era veramente così. Clara possedeva la vivace fantasia della fanciulla serena, semplice, ingenua, un´anima veramente femminile, un´intelligenza limpida e acuta. Le persone complicate e confusionarie non avevano buon gioco con lei, perché pur parlando poco (Clara in genere era silenziosa per natura), per lei parlava quel suo sguardo limpido e quel suo ironico sorriso che sembrava dire: «Amici cari, come potete aspettarvi che io prenda queste vostre immagini inconsistenti per reali figure dotate di vita e di movimento?». Perciò da molti Clara era considerata un tipo freddo, senza sentimenti, prosaica; altri invece, che avevano sentito la vita in tutta la sua profondità, adoravano questa fanciulla semplice, intelligente, piena di spirito, ma nessuno certo come Nataniele la cui vita si svolgeva serenamente nella scienza e nell´arte. Clara si attaccò con tutta l´anima all´amato; le prime nubi nella loro vita sorsero quando egli si separò da lei. Con quale rapimento perciò essa volò nelle sue braccia, quando egli, come aveva detto nella sua ultima lettera a Lotario, ritornò veramente a casa e fece il suo ingresso nella stanza della madre! Avvenne come Nataniele aveva pensato: nel momento in cui vide Clara, non pensò più né all´avvocato Coppelius né all´acuta lettera di Clara, e ogni cattivo umore svanì.

Però Nataniele aveva ragione quando scriveva al suo amico Lotario che la persona odiosa del venditore di barometri Coppola era entrata nella sua vita in modo veramente ostile. Tutti lo notarono, giacché Nataniele sin dai primi giorni apparve completamente mutato. Si immerse in tetre fantasticherie e si comportò in modo così strano come mai lo si era visto. Ogni cosa, tutta quanta la vita, gli era diventata sogno e presentimento; e continuava a dire che ogni uomo si illude di essere libero, ma che in verità è legato al feroce gioco dei poteri oscuri contro i quali è vano ribellarsi, anzi bisogna essere umili e rassegnarsi al proprio destino. Arrivò persino ad affermare che era da stolti credere che nell´arte e nella scienza si crei secondo un libero arbitrio; giacché anche quell´entusiasmo che è necessario per la creazione non ha origine nel nostro io, ma sarebbe l´azione di un indefinito principio superiore che sta fuori di noi.

Alla chiara intelligenza di Clara tutta questa esaltazione mistica non andava assolutamente a genio, ma sarebbe stato inutile tentare di confutarla. Solo quando Nataniele affermò che Coppelius era il principio cattivo che lo aveva afferrato nel momento in cui spiava dietro la tenda e che quel demonio odioso avrebbe finito per distruggere in qualche spaventoso modo la loro felicità, allora Clara diventò molto seria e disse: «Sì, Nataniele, hai ragione. Coppelius è veramente un principio maligno e può veramente agire in modo deleterio come una potenza diabolica che è entrata tangibilmente nella vita, ma solo se tu non la scacci dalla tua anima e dai tuoi pensieri. Sino a che tu credi, egli esiste veramente e agisce: solo la tua fede è la sua potenza».

Nataniele, veramente irritato che Clara ponesse l´esistenza del demonio soltanto dentro il suo io, volle esporre tutta quanta la dottrina mistica dei diavoli e delle forze oscure, ma Clara, seccata, lo interruppe portandosi su argomenti futili, con gran dispetto di Nataniele. Egli pensava che per i temperamenti freddi e irriducibili simili profondi misteri rimangono sempre tali e in tal modo non si rendeva conto che finiva con il porre Clara tra le nature subordinate, per cui non tralasciava ogni tentativo di iniziarla a quei misteri.

La mattina presto, quando Clara aiutava a preparare la colazione, egli le stava vicino e le leggeva vari libri mistici, finché Clara lo pregò: «Caro Nataniele, e se cominciassi a pensare che sei tu il principio del male che agisce ostilmente sul mio caffè? Se infatti, come tu desideri, piantassi qui ogni cosa per guardarti negli occhi mentre leggi, il caffè traboccherebbe e voi tutti rimarreste senza colazione». Nataniele sbatté il libro e corse arrabbiatissimo a chiudersi nella sua camera.

Normalmente nei vivaci racconti che egli scriveva, e che Clara seguiva con grande piacere, dimostrava veramente un notevole vigore; ora invece le sue poesie erano oscure, incomprensibili, informi; così egli si accorgeva quanto poco la toccassero, anche se Clara per delicatezza non glielo diceva. Per Clara non vi era nulla di più mortale della noia; dallo sguardo e dalle parole traspariva allora la sua invincibile sonnolenza spirituale e le poesie di Nataniele erano certo molto noiose. Il dispetto di Nataniele per l´anima fredda e prosaica di Clara aumentò sempre più, Clara d´altra parte non riusciva a vincere il suo malumore per le noiose, oscure astruserie mistiche di Nataniele, e così senza accorgersene si allontanavano sempre più l´uno dall´altra. La figura dell´odioso Coppelius, come lo stesso Nataniele doveva riconoscere, si era infiacchita nella sua fantasia, e gli costava perciò una certa fatica colorirla in modo vivace in quella poesia dove doveva apparire come l´orrendo spauracchio del destino. Infine decise di prendere come soggetto quell´oscuro presentimento per cui Coppelius avrebbe distrutto la loro felicità. Egli immaginava se stesso e Clara uniti fedelmente nell´amore, ma di tanto in tanto, tra loro, si insinuava una mano nera che strappava loro ogni gioia. Ed ecco apparire, quando già sono dinanzi all´altare, l´odioso Coppelius e toccare i dolci occhi di Clara; questi balzano dentro nel petto di Nataniele, bruciando e ardendo come scintille di fuoco. Coppelius lo afferra e lo scaglia entro un cerchio di fiamme che gira con la velocità della bufera e fischiando e mugghiando lo trascina via. È uno strepito come quando l´uragano rabbioso frusta i marosi spumeggianti che si impennano in una furiosa lotta come neri giganti incoronati di bianco. Ma in quel clamore selvaggio si ode la voce di Clara: «Perché non vuoi guardarmi? Coppelius ti ha ingannato. Non erano i miei occhi che bruciavano dentro il tuo petto, erano gocce ardenti del tuo sangue. Io li ho, i miei occhi: guardami, guardami dunque!». Nataniele pensa: «Costei è Clara e io sono suo per sempre». Ecco, ora è come se il pensiero violentemente entrasse nel cerchio di fiamme che si arresta e tutto il fragore svanisce in un oscuro abisso. Nataniele guarda gli occhi di Clara; ma quella che lo fissa amorevolmente con gli occhi di Clara è la Morte.

Mentre Nataniele così poetava, era molto calmo e sereno, correggeva e limava ogni riga e siccome si era assoggettato alle esigenze metriche, non si dava pace finché ogni verso non fosse scorrevole e pulito. Ma quando ebbe finito e si mise a leggere per suo conto a voce alta la poesia, fu preso da un terrore folle ed esclamò: «Di chi è questa voce spaventosa?». Poco dopo però tutta quanta la poesia gli parve ben riuscita e pensò che l´anima fredda di Clara ne potesse essere riscaldata, benché non capisse bene a che scopo dovesse essere riscaldata, né perché l´angustiasse con le orribili descrizioni di quello spaventoso destino che avrebbe distrutto il loro amore.

Tutti e due, Nataniele e Clara, erano seduti nel piccolo giardino della madre. Clara era molto serena, perché Nataniele, già da tre giorni, durante i quali scriveva il suo poema, non l´aveva angustiata con i suoi sogni e presentimenti. Anche Nataniele parlava con vivacità di cose allegre, come una volta, sicché Clara disse: «Ecco che finalmente ti ho ritrovato: vedi anche tu che abbiamo scacciato l´odioso Coppelius».

Allora Nataniele si ricordò di avere in tasca la poesia che voleva leggerle. Subito tirò fuori i fogli e cominciò. Clara, che si aspettava come al solito qualcosa di noioso, già rassegnata, incominciò calma calma a fare la calza. Ma proprio quando la cupa nuvolaglia sempre più tenebrosa saliva, lasciò cadere il lavoro e guardò fisso negli occhi di Nataniele. Questi era irresistibilmente trasportato dalla sua poesia: le sue guance arrossate rivelavano il tumulto interiore, lacrime gli scorrevano dagli occhi… alla fine, esausto, emise un gemito, prese la mano di Clara sospirando e quasi dissolvendosi in un dolore sconsolato: «Ah, Clara, Clara!».

Clara lo strinse dolcemente al seno e sottovoce, lentamente, ma severa disse: «Nataniele, mio adorato Nataniele, getta nel fuoco questa pazza fiaba che non ha alcun senso».

Nataniele balzò in piedi indignato allontanando da sé Clara e gridò: «Tu, automa maledetto e senza vita!». E fuggì via, mentre Clara, profondamente offesa, versava amare lacrime. «Oh, non mi ha mai amato, perché non mi comprende» singhiozzava.

Lotario entrò nella pergola; Clara dovette raccontargli l´accaduto. Egli amava la sorella con tutta l´anima: quelle parole di accusa entrarono come scintille nel cuore, sicché lo sdegno che da lungo tempo portava nell´animo contro quel sognatore di Nataniele divampò in un´ira selvaggia. Corse da Nataniele, gli rinfacciò con aspre parole il suo insensato comportamento verso l´amata sorella. Nataniele replicò infuriato. L´uno diceva: bellimbusto, trasognato, pazzo. L´altro rispondeva: volgare, miserabile. Il duello era inevitabile. Stabilirono di battersi il giorno seguente dietro il giardino, con fioretti acuminati e taglienti, secondo le consuetudini accademiche di allora. Si aggiravano attorno muti e cupi. Clara, che era venuta a sapere della lite e aveva visto il maestro d´armi che al crepuscolo portava i fioretti capì quello che stava per accadere. Portatisi sul luogo del duello, Lotario e Nataniele si erano già tolti la giacca in silenzio, negli occhi la brama del duello all´ultimo sangue, e stavano per scagliarsi l´uno contro l´altro, quando essa arrivò di corsa attraverso il giardino.

Singhiozzando gridò: «Sciagurati, uccidete me, prima di battervi tra voi! Come potrei vivere se l´amato assassinasse il fratello, o il fratello l´amato?».

Lotario lasciò cadere l´arma e guardò fisso a terra, in silenzio, mentre nel cuore di Nataniele rinasceva con dolore straziante tutto l´amore per Clara, che aveva provato nei più bei giorni della sua radiosa giovinezza. L´arma mortale gli cadde di mano, si buttò ai piedi di Clara: «Perdonami, ti prego, perdonami, tu, mia unica, mia adorata Clara. Potrai tu mai perdonarmi, o mio carissimo fratello Lotario?».

Lotario si commosse al dolore profondo dell´amico: tutti e tre si abbracciarono tra le lacrime e giurarono di non lasciarsi mai, uniti in amore e fedeltà.

Nataniele ebbe l´impressione di essersi liberato da un peso che lo opprimeva, anzi di aver salvato tutta quanta la sua esistenza minacciata da rovina, resistendo a una forza oscura che l´aveva imprigionato. Trascorse ancora tre giorni felici tra i suoi cari, poi ritornò a G. dove sarebbe rimasto ancora un anno e quindi sarebbe tornato per sempre a casa sua.

Tutto ciò che riguardava Coppelius fu taciuto alla madre: sapevano che essa non avrebbe potuto pensare a lui senza terrore, perché, al pari di Nataniele, dava a lui la colpa della morte del marito.

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