Varie su Bolano

Un genere di inferno: Roberto Bolano ed il ritorno della letteratura mondiale

1. Ironia della canonizzazione

Ci sono due cose che dovremmo sempre tenere a mente quando leggiamo Bolaño. Primo, gli scrittori molto spesso sono meno interessanti delle loro opere; e in secondo luogo, la letteratura, come la muraglia cinese di kafkiana memoria, è formata da migliaia di persone, la maggior parte di essi critici letterari che lavorano nelle redazioni di giornali e riviste. È proprio qui, nella pagine di un qualunque inserto culturale di un quotidiano e nelle trasmissioni televisive di tendenza che la letteratura si espande e si riproduce. Come una gigantesca macchina acefala, questo esercito burocratico lavora con un semplice obiettivo, la difesa della fortezza. Dietro l’accoglienza delle opere di Bolaño in inglese c’è qualche cosa di simile, un’accoglienza iniziata con la sua morte nel 2003 e dovuta alle numerose traduzioni dei suoi libri negli ultimi anni. Dal New York Times al Guardian, il New Yorker e perfino Playboy, molti critici e giornalisti hanno firmato quella che potrebbe essere considerata una approvazione generalizzata verso la sua impresa letteraria. Di conseguenza, oltre ai prestigiosi premi Romulo Gallegos ed al premio Herralde del 1999 per il suo romanzo I detective selvaggi , il suo romanzo postumo 2666, tradotto di recente, è stato scelto come libro dell’anno nel 2008, e premiato con il premio del National book critics circle nel 2009, negli Stati Uniti.

Questo pressoché unanime riconoscimento, in ogni caso, non dovrebbe farci dimenticare come l’opera di Bolaño sia profondamente dedicata alla sospensione della nostra comune interpretazione di due concetti fondamentali della critica tradizionale, il mondo e la letteratura.
Il suo stile peripatetico implica una strategia narrativa che è già stata ribattezzata “post-nazionale”, e la sua rappresentazione del mondo come un incubo attraversato da guerra e violenza rende impossibile il concepirlo semplicemente come una piccola parte del canone letterario latinoamericano, e nemmeno come uno dei membri cosmopoliti della generazione degli scrittori sudamericani successiva alla generazione del boom degli anni ’50(ad esempio Crack e McCondo).
Il suo rapporto con la letteratura occidentale, allo stesso tempo, non deve essere considerato senza riserve perché, in quanto appassionato lettore di Borges , il principale interesse di Bolaño non era la tradizione bensì l’invenzione. Naturalmente egli era un lettore autodidatta formatosi da sé, che andava alla ricerca degli estremi e degli abissi, ma ciò che richiama la nostra attenzione è la recente celebrazione della sua figura come quella di uno dei più importanti scrittori all’interno del movimento di rinnovamento della tradizione letteraria occidentale: non ancora un classico, ma il rappresentante prominente della sua generazione; in breve, un nuovo maestro.

È questa l’ironia della canonizzazione. In seguito alla sua morte nel 2003 all’età di 50 anni, ed in parte a causa della recente traduzione inglese delle sue opere più importanti, per non parlare dei tre importanti romanzi inediti scoperti in mezzo alle sue carte (Il Terzo Reich , Diorama e Los sinsabores del verdadero policia o Asesinos de Sonora), Bolaño appare come un esempio riuscito di genio e fascino, freschezza e potere letterario.
Egli sembra proprio la conferma della lunga vita della letteratura, o in maniera più radicale il rinnovamento dell’industria letteraria e l’espressione della sua capacità intrinseca di perpetuare sé stessa. È stata proprio questa comprensione del mondo editoriale, della sua continua trasformazione e del suo opportunismo commerciale, che egli si sforzava di denunciare e di smascherare, al punto di fare di questo smascheramento parte della sua personale cifra stilistica. In Sevilla me mata, ad esempio, un saggio postumo incompiuto che egli avrebbe dovuto presentare all’incontro degli scrittori latino americani e spagnoli organizzato dalla casa editrice Seix-Barral a Siviglia nel 2004, Bolaño descrive la situazione corrente della sua generazione come caratterizzata da egoismo ed auto-promozione, lontana da qualsiasi sogno collettivo o ideale rivoluzionario, e subordinata al criterio delle case editoriali famose, che stabiliscono il concetto di buona letteratura. Bolaño scherza:
‘In realtà Siamo come bambini intrappolati nella villa di un pedofilo. Qualcuno di voi dirà che è meglio essere alla mercé di un pedofilo che alla mercé di un assassino. Sì, è meglio. Ma i nostri pedofili sono anche assassini’. [1]
[ R.B.: – Siviglia mi fa morire, in Tra parentesi, pag319-321 +
Non c’è via di uscita, ed egli incluse sé stesso all’interno di questa tendenza decadente, dato che lui stesso si vergognava dei riconoscimenti che la sua narrativa, e non la sua poesia, avevano guadagnato. Dopo tutto, Bolaño considerava sé stesso come una specie particolare di poeta: dannato, oscuro e marginale, un cane romantico sperduto nel mondo. L’ironia di questa canonizzazione, comunque, non è tanto il rammarico di come lo sbugiardamento del business letterario fosse diventato esso stesso un business remunerativo, è anche collegato alla banale classificazione delle sue opere come la continuazione riuscita del fenomeno del Boom latino americano, il più importante fenomeno letterario commerciale del ventesimo secolo nella tradizione ispano-americana.

In questo saggio, io considero la narrativa di Bolaño come un esempio di manifesta ironia e di mordace critica che potrebbe essere perfettamente correlato a molte tradizioni moderne. In ogni caso, sostengo anche che egli non può essere ridotto alla figura dello scrittore-moralista o dello scrittore-partigiano, caratteristica di questo periodo, poiché i suoi romanzi esprimono il logoramento del moderno rapporto tra la letteratura e lo spazio pubblico della lettura, che le garantiva una particolare funzione sociale (illustrazione, educazione, esempio morale, etc.).

Chiamo questo tipo di logoramento ‘complicità’, una specie di coesistenza della letteratura con l’orrore. Se le cose stanno così, allora i romanzi di Bolaño non devono essere letti come un segno di continuità della moderna letteratura, nazionale o anche latino-americana (poiché nemmeno le istituzioni letterarie cilene, messicane o spagnole lo rivendicano o si sentono a proprio agio con le sue opere). Le sue tematiche narrative ed i suoi leitmotiv, anche se non sono un caso unico tra gli scrittori recenti, rappresentano una riformulazione di ciò che la letteratura dovrebbe essere, in confronto con l’attuale congiuntura della storia mondiale segnata dalla guerra globale. In altre parole, la strategia di demolizione della sua prosa non è semplicemente una riformulazione della critica, che mira ad essere una spina nel fianco per il potere, ma qualcos’altro, qualcosa che obbliga ad una riflessione sulla teoria letteraria implicita nell’opera di Bolaño. In questo senso, i suoi romanzi non sono solamente post-nazionalisti, ma approcci universali alla recente storia della violenza, che implica un ritorno alla letteratura mondiale, in cui non c’è speranza di redenzione attraverso l’istruzione, come nell’ideale romantico. Vale a dire, la condizione materialista della narrativa di Bolaño è insieme il risultato e la rivelazione del processo planetario del mondo determinato dalla guerra globale. Certamente questo ritorno alla letteratura mondiale non è un’adesione ingenua all’ideale cosmopolita dell’Illuminismo, ma piuttosto ne implica il suo naturale esaurimento, e consente una riflessione su ciò che potrebbe essere il potenziale della rappresentazione letteraria ai nostri giorni.